La Val di Rose

un cammino leggendario tra vedute spettacolari e l’elegante danza dei camosci

Un viaggio mozzafiato tra boschi, pareti rocciose e panorami infiniti, alla scoperta della natura selvaggia e dei camosci del Parco Nazionale d’Abruzzo

Le vette rocciose si ergevano come giganti silenziosi, circondando il paesaggio con una solennità che riempiva l'aria di meraviglia e rispetto

Il sentiero si addentrava nella storica Val di Rose con una dolcezza quasi ingannevole. La faggeta, fitta e silenziosa, sembrava avvolgere ogni passo con il suo manto di ombre fresche e luce filtrata, mentre gli antichi muri a secco si facevano testimoni muti di un passato rurale ormai lontano. In autunno, i faggi vestivano colori che sfumavano dal dorato al rosso vivo, come se la foresta ardesse di una fiamma quieta. Tra un albero e l’altro, si aprivano improvvisi squarci di luce, rivelando panorami che parevano dipinti: la maestosa Vallis Regia si estendeva in lontananza, mentre il Lago di Barrea scintillava come un gioiello tra le montagne. Dietro di noi, la lunga dorsale della Serra Rocca Chiarano si stagliava con orgoglio contro il cielo terso.

Man mano che salivamo, l’aria si faceva più sottile e vibrante, e a quota 1700 metri il bosco si aprì all’improvviso, rivelando l’anfiteatro di roccia che circondava le pareti del Boccanera, del Passo Cavuto e dello Sterpi d’Alto. Qui, la vegetazione si faceva più rada, ma i caldi toni autunnali continuavano a punteggiare il paesaggio, mescolandosi al grigio severo delle rocce. Le pareti a picco si ergevano come giganti silenziosi, e proprio lì, tra rupi e balzi scoscesi, con un po’ di fortuna, intravedemmo un piccolo gruppo di Camosci appenninici. Il loro mantello bruno si fondeva perfettamente con le pareti rocciose, mentre si muovevano con grazia incredibile, come acrobati nati per dominare quegli strapiombi. Erano figure eleganti, in equilibrio precario ma sicuro, che sembravano giocare con la gravità.

Il sentiero sembrava custodire antiche storie, tracciando un percorso tra ombre fresche, panorami aperti e il silenzio sacro delle alte quote

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Ci fermammo per una breve pausa nei pressi di un antico stazzo abbandonato, che narrava di estati lunghe e pastori silenziosi. Ma la vera meraviglia ci attendeva più avanti: il sentiero si arrampicava ancora, fino a raggiungere i 1961 metri di Passo Cavuto, dove ci accoglieva un panorama che sfidava ogni descrizione. Da qui, lo sguardo spaziava libero, senza confini, sopra la cresta della Camosciara, tra cespugli di Pino mugo e pareti scoscese che sembravano precipitare nel vuoto. Ci fermammo, immersi in quel silenzio sacro che solo l’alta quota può offrire, sentendo l’immensità della natura tutta intorno a noi.

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Proseguendo per un breve traverso, raggiungemmo il rifugio di Forca Resuni, appoggio storico dei guardia parco, posto in una posizione straordinaria. Da lì, potevamo scorgere da un lato la Valle Risione e il borgo di Barrea con il suo lago, come una perla incastonata nel paesaggio e dall’altro lato, il versante laziale del Parco con le montagne, incendiate dai toni autunnali, che sembravano respirare tra le nuvole danzanti . Ci fermammo per il pranzo, gustando il panorama e la solitudine, prima di riprendere la via del ritorno.

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La discesa ci condusse attraverso la splendida faggeta della Valle Jannanghera, un mondo ombroso e quieto, dove ogni passo risuonava dolcemente tra le foglie cadute, ora di un rosso acceso, ora di un giallo dorato. A valle, la sorgente Jannanghera ci attendeva con le sue acque fresche e limpide, offrendoci un momento di ristoro tanto atteso. Da lì, l’ultimo tratto del percorso ci riportò verso Civitella Alfedena, seguendo una vecchia via immersa in un bosco misto che sembrava custodire antiche storie di pastori e viandanti. Il cerchio si chiudeva, e con esso l’avventura di uno degli itinerari più affascinanti del Parco Nazionale d’Abruzzo.

 

Testo e Foto © Marco Buonocore

I Camosci si muovevano con grazia incredibile, come acrobati nati per dominare quegli strapiombi. Erano figure eleganti, in equilibrio precario ma sicuro, che sembravano giocare con la gravità.

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