Oltre le Cime

Viaggio tra i Crinali Selvaggi e le Antiche Vie della Transumanza

Con un gruppo di stranieri siamo partiti per un’avventura tra creste vertiginose e faggete secolari, immersi nei panorami epici dei monti d’Abruzzo e della transumanza millenaria

La cresta si snodava sotto i nostri piedi come un filo sospeso tra passato e presente, e ogni vetta raggiunta ci restituiva lo sguardo indomito dei giganti di pietra, custodi delle vie della transumanza e del passaggio dei secoli

La luce del mattino filtrava attraverso la fitta cortina di nubi, sfiorando la prateria di Passo Godi come un velo d’oro tremolante. Da qui partimmo con un gruppo di stranieri e l’autunno era ovunque. Il fruscio dell’erba alta scricchiolava sotto i passi dopo la gelata. Qui, il tempo sembrava scorrere più lento, ogni passo era un viaggio verso qualcosa di antico, una terra intrisa di storie tramandate dai pastori che per secoli avevano calcato quei sentieri, guidando le loro greggi verso le cime.

Ci avviammo in silenzio, lasciandoci avvolgere dal paesaggio che lentamente prendeva vita sotto i primi raggi del sole. Ogni respiro portava con sé il profumo della terra umida e delle foglie cadute, mescolato al vento freddo che soffiava dalle montagne. Lontano, il suono delle campane degli armenti risuonava tenue, un eco che sembrava scendere dall’alto, come un richiamo alla transumanza, un viaggio millenario che si ripeteva ogni anno. Era facile immaginare i pastori di un tempo risalire quei pendii, carichi di speranza e fatica, inseguendo sentieri ormai sbiaditi, ma ancora vivi sotto i nostri piedi.

Non appena lasciammo la prateria alle spalle, il sentiero iniziò a salire, insinuandosi con grazia tra gli alberi della faggeta. Gli alberi autunnali sfoggiavano un manto di foglie dorate e ramate, che tremolavano leggere alla brezza, illuminando il sentiero come una pioggia di luce calda. L’aria era satura di quell’inconfondibile profumo di foglie secche e terra umida. Ogni respiro evocava memorie antiche, mentre il bosco ci avvolgeva in un abbraccio silenzioso, facendoci dimenticare tutto ciò che era rimasto dietro di noi. Alla sommità, il Valico dello Scalone si apriva come un portale verso un altro mondo, un mondo fatto di crinali selvaggi e cime oltre i 2200 metri che si ergevano orgogliose contro un cielo limpido, incorniciato dai colori caldi dell’autunno. La cresta si allungava in un susseguirsi di picchi, offrendo panorami mozzafiato sui principali monti del Parco Nazionale d’Abruzzo e sul Gran Sasso e la Majella che si stagliavano in lontananza come giganti addormentati.

Lungo il crinale, seguivamo le orme invisibili di una transumanza millenaria, avvolti dall’immensità delle montagne e dal canto muto della roccia e della terra, che ci guidava attraverso un mondo dimenticato

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Camminammo lungo quella sottile striscia di roccia e terra, sentendo il vento che ci spingeva verso il cielo. Quando raggiungemmo il Balzo delle Fate, il panorama ci tolse il fiato: la bastionata rocciosa si ergeva maestosa sopra il circo glaciale di Serra Rocca Chiarano, come una fortezza naturale che guardava indifferente al passaggio del tempo. Ci fermammo un istante, lasciando che la vastità del paesaggio ci avvolgesse. Le cime delle montagne si susseguivano come onde di pietra, mentre l’altopiano delle Gravare si estendeva sotto di noi, ricordando le antiche vie della transumanza. Alcuni versanti, ricoperti dalle faggete, brillavano dei toni autunnali, un contrasto vivido con le rocce grigie.

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La discesa dall’ultima cima di Monte Rocca Chiarano era ripida e affascinante, con lo sguardo costantemente rapito dalle infinite vedute sui monti del Parco. Quando finalmente scorgemmo i ruderi dello Stazzo dell’Affogata, un antico rifugio pastorale in rovina, ci colse una sensazione di nostalgia. Quei muri di pietra, che una volta avevano offerto riparo a pastori e greggi, raccontavano storie di inverni gelidi e di estati piene di vita. Ci avviammo lungo il sentiero che si snodava tra i faggi, le radici nodose e i tronchi maestosi che formavano una sorta di cattedrale naturale. Il bosco, illuminato dai caldi toni autunnali, si apriva a tratti, rivelando scorci mozzafiato sui monti circostanti, le ripide valli tappezzate da estese faggete, tinte di rosso e oro. Poi, nuovamente, si richiudeva in un intreccio ombroso.

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Alla fine del percorso, il piccolo paese di Villetta Barrea si profilò all’orizzonte, avvolto nella quiete serena del pomeriggio autunnale. Le foglie cadute danzavano leggere al vento, e il rumore sommesso delle sue strade ci riportò alla realtà, dopo un giorno sospeso tra i colori e le nuvole.

 

Testo e Foto © Marco Buonocore

Sulla cresta sottile, ogni passo sembrava un eco dei pastori d’altri tempi, un legame tra la terra e il cielo, mentre il vento portava il suono delle campane dei greggi come un sussurro antico tra le cime

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